Il decennio d’oro della fotografia musicale
Sono una ragazza della “Generazione X” e gli anni '80 mi hanno insegnato che la musica non vive di soli suoni (e dopo 40 anni ne sono ancora fermamente convinta). Se è vero che la fotografia musicale nasce negli anni '50-'60 con il rock n’ roll, la Beatlesmania e la fondazione della rivista musicale Rolling Stone (1967), è anche vero però che raggiunge il suo apice negli anni '80.
Gli anni '80… o li ami o li odi… Qualunque sia la tua opinione, è innegabile l'impatto che questa decade ha avuto nel mondo della musica. Se allarghiamo il campo alla fine degli anni '70 ci troviamo di fronte a un decennio decisamente eclettico che vede la nascita di svariati generi musicali (glam rock, punk, new wave, heavy metal) e poi, diciamocelo, dopo l’apertura di MTV e l’invenzione del walkman la nostra vita non è stata più la stessa… In questi anni artisti e case discografiche fanno a gara per apparire sulle copertine delle riviste musicali dove, all'interno, i teenagers trovano i poster da appendere nelle loro camerette. Il fotografo diventa così una sorta di direttore artistico: oltre a creare le luci, la posa e la tecnica, concorda con i musicisti nel dettaglio il tema delle foto. Un’arte attiva che racconta l’artista o, meglio, come l’artista vuole essere visto dal pubblico, contribuendo alla creazione del cosiddetto “immaginario collettivo” che non si limita alla pura apparenza ma veicola un messaggio artistico. Ad esempio, se durante un concerto vedessi un tizio che spacca il suo strumento sul palco penseresti ai Clash. Una chitarra in fiamme è Jimi Hendrix. Quattro uomini che attraversano un passaggio pedonale sono i Beatles. Un ragazzo a torso nudo con una collanina è Jim Morrison. Ovviamente!
La musica, come una bella immagine, colpisce l’anima, ed entrambe sono legate tra loro in modo simbiotico: siccome non è possibile catturare un suono, ma si può ritrarre un sentimento, un’emozione o un ricordo legati a quel suono, essa ne amplifica il messaggio. La fotografia come un tentativo di afferrare l’anima della musica, perché i musicisti – quelli veri – sono un prolungamento della musica che suonano, a partire dalla loro immagine. Un cercare, nell’apparire, un senso di bellezza e verità. Molti fotografi musicali sono stati profondi amanti della musica o essi stessi dei musicisti. Ne ho scelti tre con una loro foto più o meno famosa, ma estremamente iconica.
Annie Leibovitz (1949 -)
Una carriera contraddistinta da un continuum di diverse esperienze creative: uno stile inconfondibile e fortemente estetico. Dopo una lunga gavetta al seguito dei tour delle band più famose degli anni '70 diventa direttrice artistica della rivista Rolling Stone. In seguito sarà la fotografa preferita dalle celebrità di tutto il mondo per i suoi ritratti intimi e spesso giocosi. Per ricordarne alcuni: Demi Moore con il pancione, la foto di spalle di Bruce Springsteen nell’album Born in the USA, Leo Di Caprio che abbraccia un cigno, i Blues Brothers con la faccia dipinta di blu. Dagli anni '90 collabora con le riviste Vogue e Vanity Fair confermando la sua direzione fashion e patinata, ma soprattutto è la prima donna ad avere una mostra personale alla National Portrait Gallery di Washington DC e la prima americana a ritrarre la Regina Elisabetta II. Credo possa bastare.

L’ultima foto di John Lennon scattata da Annie Leibovitz, qui insieme a Yoko Ono (1980)
Annie Leibovitz ha da poco cominciato a collaborare con la rivista musicale Rolling Stone. La direzione la incarica di scattare una foto per la copertina di gennaio 1981. Le indicazioni sono chiare: un ritratto di John Lennon ma senza Yoko Ono. Missione impossibile! La sessione fotografica parte con difficoltà l’8 dicembre 1980. John Lennon si rifiuta di posare da solo e impone la presenza di Yoko… la Leibovitz pensa allora di ritrarli come “una unica identità” prendendo spunto dalla copertina dell’album Double Fantasy, ma completamente nudi e abbracciati. All’ultimo momento Yoko decide che si sarebbe tolta la camicia, ma non i pantaloni. La fotografa contrariata ribatte: “Allora lascia pure tutti i vestiti addosso”. Il risultato è una foto molto più forte di quanto lei stessa avesse potuto immaginare. “Non potevi fare a meno di sentire che John aveva freddo e sembrava che si stesse aggrappando a lei […] entrambi erano molto entusiasti delle prime polaroid e alla fine John disse: ‘Hai catturato esattamente la nostra relazione. Promettimi che sarà sulla copertina’. L’ho guardato negli occhi e ci siamo commossi”. Annie lascia l’appartamento sulla 72 di New York alle 15.30 ignara del fatto che sarebbe stata una delle ultime persone a vedere John Lennon vivo. Alle 22.50 viene ucciso a colpi di pistola e vicino al suo cadavere l’assassino lascia una copia autografata di Double Fantasy. Nel 2005 la fotografia è stata nominata migliore copertina degli ultimi 40 anni dalla American Society of Magazine Editors e da allora è esibita alla National Portrait Gallery di Washington DC. “La leggenda di John sopravvive anche grazie a quella foto, a quel suo essere audace e sincera al tempo stesso” (A. Leibovitz)
(Puoi visualizzare il profilo Instagram della fotografa qui)
Mick Rock (1948 – 2021)
Mai legato ad alcuna rivista musicale o casa discografica si è sempre definito un semplice amante del rock e della macchina fotografica come mezzo per creare porte verso mondi infiniti immaginari. “Non sono qui per documentare o svelare personalità, ma per immortalare ombre e catturare aure". Laureato in letteratura inglese medievale a Cambridge, “l’uomo che fotografò gli anni '70” raccontò la musica prendendo ispirazione dalla poesia romantica inglese e dai poeti maledetti francesi. Sotto il trucco e il luccichio delle paillettes del glam – fu il fotografo ufficiale di David Bowie fin dagli esordi – c’è il racconto del disagio e il dramma delle periferie, lo spirito di rivalsa proiettato verso la bellezza e il piacere (anche sessuale). Immagini dissacranti, istintive, essenziali che dimostrano che la bellezza può nascere anche dai margini e l’arte dà a tutti la libertà di diventare ciò che si è.

Una polaroid di Madonna (Mick Rock, 1980)
Miss Veronica Ciccone è nuova di New York… è appena arrivata dal Michigan con 35 dollari in tasca e una valigia piena di sogni. Mangia popcorn perché saziano e costano poco, posa nuda perché pagano bene, vuole fare la ballerina ma si improvvisa batterista al CBGB’S. Prova a fare la corista ma vuole essere protagonista della sua scena, sa fare tutto e niente. Vive con il fratello e il fidanzato in una sinagoga abbandonata e durante una delle tante serate in discoteca conosce un tizio che a sua volta conosce un fotografo famoso e lo prega di organizzare un incontro. Mick Rock la ricorda curiosa e disinvolta. Scatta alcune polaroid (questa è l’unica sopravvissuta nel suo archivio). La sessione fotografica dura pochi minuti. La ragazza sembra già padrona del set, in un modo genuino e “grezzo”, ma non volgare. “Non le chiesi di tirare fuori la lingua, né di ammiccare alla macchina fotografica: fece tutto da sola. Era il tipo di ragazza che avrebbe fatto di tutto pur di farsi notare…” La polaroid, come ammette lo stesso Rock, non è apocalittica, ma colpisce il fotografo per quel carisma ancora indefinito e una sessualità acerba e sincera, per quello sguardo magnetico e volitivo di una giovane donna convinta di ciò che stava facendo sicura che prima o poi avrebbe conquistato uomini e donne con il suo sex appeal irriverente e il suo look pop-punk. A Star was born.
(Puoi visualizzare il profilo Instagram del fotografo qui)
Anton Corbijn (1955 –)
Fotografo, videomaker e regista folgorato dalla musica. A 17 anni, durante il suo primo concerto, scatta le prime foto con la macchina fotografica di suo padre. Una di queste sarà pubblicata da una rivista musicale tedesca. Comincia un’avventura in cui il binomio fotografia/musica lo porterà a collaborare con tutti i più grandi nomi dell’Olimpo musicale tra cui REM, U2 (soprannominato il quinto membro della band), Depeche Mode (cura tutt’ora l’immagine della band), Nick Cave, Morrissey, Joy Division. La passione per la musica lo (tras)porta dall’Olanda a Londra dove frequenta la scena post-punk diventandone il principale interprete visivo. Il suo stile essenziale black and white è fatto di immagini scarne, inquadrature sgranate, a volte fuori fuoco, potenti, eleganti, riconoscibilissime e sempre concentrate sul soggetto rivelandone la vera essenza e la sua complessità di essere umano e artista.
Il giovane Corbijn si è da poco trasferito a Londra ed è al primo ingaggio come fotografo presso la rivista musicale New Musical Express: fotografare i Joy Division. Poco pratico della città si accorda con la band per incontrarsi alla fermata della metropolitana vicino al suo appartamento. Nasce così la foto più famosa del gruppo, talmente amata dalla band che gli chiesero poi di ritrarli più volte. Una luce accecante fa da contrasto con le ombre di tre cupe figure che voltano le spalle all’obiettivo, guardando altrove. Un uomo avvolto in un lungo cappotto si volta e guarda la camera. I suoi occhi sono scuri, il viso inespressivo non trapela emozioni. Con il senno di poi e conoscendo il triste destino del frontman Ian Curtis (morto suicida solo sei mesi dopo questo scatto) la foto sembra un cupo presagio. In realtà l’intento di Corbijn era stato ben diverso: “Avevo questa idea che le persone se ne vanno, camminano verso piaceri sconosciuti (Unknown Pleasures è anche il titolo del primo album della band) e ho pensato che sarebbe stato bello se uno di loro avesse guardato indietro… Nessuno avrebbe previsto ciò che poi è accaduto”. E quindi sì, oggi l’immagine suscita compassione ed empatia per l’anima tormentata di Ian, ma in realtà nella sua brevissima vita la band ha fatto la storia della musica e a me piace pensare che questa foto sia il loro manifesto, da qualsiasi angolatura la si stia guardando.
(Puoi visualizzare il profilo Instagram del fotografo qui)
Curiosità
Conosci la regola dei “tre pezzi no flash"?
Nata negli anni '80 - e secondo la leggenda introdotta da Bruce Springsteen - è la possibilità di fotografare soltanto durante i primi tre brani del concerto. In quegli anni venivano distribuiti molti pass e la maggior parte erano paparazzi che scattavano a raffica con il flash: nacque così la proposta di limitare l’accesso a fronte palco e solo per i primi tre pezzi. Regola limitante perché il concerto è bello man mano che va avanti e anche l’artista dà il meglio di sé dopo alcuni brani. Oggi, con l’avvento degli smartphone e la foto sempre fruibile da e per tutti questa regola non ha più ragione di esistere.
(continua...)
Foto di copertina: uno scatto anni '80 dei Duran Duran - via Pinterest