Adattarsi è morire?
Ho sempre amato rovistare tra i cassetti, ricordo che lo chiedevo espressamente a mia nonna. Lei mi diceva sempre di sì, purché lasciassi tutto in ordine. Io facevo del mio meglio per non creare troppo scompiglio, ma più le mie mani affondavano tra i suoi ricordi e più era difficile contenere l’eccitazione. C’è qualcosa di straordinario nei “cassetti degli altri”: tutto quello che conserviamo, o nascondiamo, dice molto di noi. Il cassetto di mia nonna era pieno di collane, bracciali e orecchini ma in fondo a destra, ben nascosto, c’era un borsellino nero tutto rovinato. Le mie mani arrivavano sempre a sfiorarlo ma non ho mai avuto il coraggio di aprirlo. Solo molti anni dopo fu lei stessa a dirmi che lì dentro nascondeva dei soldi: pochi risparmi che utilizzava per fare dei regali alle sue figlie e alle nipoti.
Oggi lei non c’è più ma quei cassetti esistono ancora e per me sono come un laccio, una connessione oltre il tempo. Nel frattempo sono cresciuta e sono diventata una donna ma non ho perso quell’abitudine. I cassetti sono ancora il posto in cui mi rifugio e in cui trovo ispirazione. E qualche giorno fa è bastato un semplice cucchiaino, nascosto in un cassetto della cucina, per riattivare i ricordi e tornare bambina.
“Lascia perdere, prendine uno più piccolo. Non vedi che non ci entra?” Probabilmente era il 1996 e stavo tentando di dire a mia nonna che quel cucchiaino non sarebbe mai entrato dentro al barattolo.
“Ti arrendi così facilmente?”. Lei era così: combattiva fino all’inverosimile e capace di trovare una soluzione dove tutti vedevano un problema.
-Adattarsi o morire- è questa la convinzione che mi ha accompagnata per tanti anni, come se arrendermi, cedere e cambiare forma fosse una sconfitta. Di fronte ad una sfida ho sempre pensato che ci fosse una sola possibilità: lottare. La variabilità era un concetto lontano e che reputavo misero.
Quanto coraggio ci vuole per adattarsi ad un cambiamento? Fino a qualche tempo fa avrei detto che chi si adatta è un vigliacco, un fallito, un perdente. Oggi la mia prospettiva è cambiata e quel cucchiaino, quello che mia nonna si ostinava a voler fare entrare nel barattolo, è la metafora perfetta del cambiamento. Le sue mani in pochi minuti avevano modificato la forma di quell’oggetto: lo aveva ripiegato su sé stesso curvandolo in modo che entrasse perfettamente dentro al barattolo. Ho imparato, a fatica, di poter essere quel cucchiaino, ho compreso che non c’è nulla di sbagliato nel seguire il corso degli eventi. Posso correre il rischio di spezzarmi, posso trasformarmi e posso correggermi. Quello che -non posso- invece è rimanere immutata, non posso permettermelo. Sono stata ostinata per troppo tempo e mi sono persa un’infinità di barattoli, di occasioni e di opportunità. Vorrei che fosse di nuovo il 1996, vorrei rivedere le sue mani piegare quel cucchiaino sapendo che ce l’avrebbe fatta. Vorrei ripercorrere i miei passi e sbagliare di più pensando meno.
Ho rimesso il cucchiaino nel cassetto insieme alle altre posate, ho richiuso e poi ho riaperto. Il suo posto è all’interno di un barattolo piccolo e scomodo. Mi sono guardata allo specchio, ho chiuso gli occhi e li ho riaperti. Il mio posto è dove posso dimostrare che i barattoli, piccoli e scomodi, meritano un’opportunità.